lunedì 5 settembre 2011

UN PICCOLO REGALO: ECCO COME INIZIA LA FIABA







Era una bella giornata primaverile e Matteo era rimasto indietro rispetto ai compagni, che proseguivano il loro cammino nel bosco insieme alle maestre. Si era fermato per ammirare una piccola coccinella rossa ferma su una foglia e, senza rendersene conto, si era ritrovato solo mentre la comitiva già si allontanava con il pullman.


Matteo, spaventato, iniziò subito a correre in direzione della corriera, sperando di essere visto da qualche compagno o dall’autista, ma nessuno notò la sua corsa né la sua mancanza.

“Se ne accorgeranno, devono accorgersi che non ci sono!” disse Matteo, guardandosi intorno, senza sapere che cosa fare. Erano partiti quella mattina con la scuola, cinquanta bambini in tutto, compresi quelli della sua età che frequentavano la prima elementare, per una facile escursione nel bosco in val di Rabbi e dopo il pranzo al sacco si apprestavano a tornare a casa. Lui, invece, era rimasto lì, solo, non c’era nessuno nelle vicinanze e non sapeva a chi chiedere aiuto.

Pensò che tra non moltissime ore sarebbe calata la notte e si chiese, impaurito, che cosa avrebbe potuto fare, da solo, nel bosco. E se fosse sbucato fuori un orso, o una lince? O qualche orco di quelli che sempre si leggono nelle fiabe? Che cosa poteva fare lui, che aveva solo sei anni? Sconsolato, si sedette su un masso nei pressi di un piccolo ruscello che scorreva a lato del sentiero nel bosco, si prese la testa tra le mani ed iniziò a piangere.

Non capì quanto tempo era passato da quando aveva iniziato a piangere fino a quando una voce lo fece trasalire. Subito pensò che qualche maestra si doveva essere finalmente accorta della sua assenza.

“Cosa ci fai qui, bambino?” aveva detto la voce, e Matteo subito aveva alzato il capo e con occhi arrossati aveva fissato chi gli stava davanti, convinto di ritornare con i suoi compagni.

 Invece davanti a lui stava un essere alto forse la metà di Matteo, una specie di donnina vestita di panno verde con scarponcini da montagna e una sacca di panno rossa sulle spalle. Matteo si spaventò e fece per alzarsi e fuggire, ma quell’essere misterioso lo rassicurò.

“Non aver paura, non voglio farti del male” disse “mi chiamo Ronja e sono un folletto, anzi una folletta di questi boschi. Cosa ti è capitato?”

Così Matteo raccontò a Ronja la sua disavventura, ogni tanto asciugandosi furtivamente una lacrima con il dorso della mano, e quando ebbe finito disse che desiderava tornare a casa e che forse lei poteva aiutarlo.

“Certo che posso aiutarti, Matteo. C’è tutto il pomeriggio perché i tuoi compagni e le maestre ti trovino. Ma intanto, che ne diresti di una gita in questa bella valle? Ci sono tante cose da vedere e sono sicura che potremmo divertirci un mondo. Che te ne pare?”

“Sarebbe bello, ma così nessuno sarà più capace di ritrovarmi” disse Matteo, che, pur attratto dalla gita con quell’essere magico in luoghi misteriosi sentiva dentro di sé anche la paura di essere dimenticato in quei boschi per sempre.

“Non preoccuparti Matteo, fidati di me. Ci sono tante cose da scoprire qui in val di Rabbi, sono sicura che ti divertirai. E ti prometto che torneremo in tempo” disse Ronja porgendogli un paio di scarponcini della sua misura (Matteo si chiese come potesse averli con sé) che, spiegò, aiutavano a camminare molto più velocemente.

“Ti sembrerà di volare” disse Ronja con un sorriso “allora, andiamo?”

“Sì, andiamo” disse Matteo, eccitato dall’avventura che lo attendeva. Non conosceva quell’essere misterioso che gli stava accanto, ma sentiva dentro di sé che poteva fidarsi e che tutto sarebbe andato per il meglio.

S’incamminarono per un sentiero nel bosco, e davvero quegli scarponcini parevano far volare chi li indossava, tanto che Matteo non sentiva la fatica e correva felice anche su per i ripidi costoni di roccia.


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